Giuseppe Quinzii nacque a Celenza sul Trigno (CH) il 30 novembre 1879 e ivi è sempre vissuto, salvo la parentesi degli studi, prima a Chieti (1) e poi a Napoli (2) esercitando la professione di avvocato. Il padre, Luigi, svolgeva a Celenza la professione di medico e la madre, Filomena era anch' ella di antico ed influente casato.
Il poeta sposò la nobildonna Adelina De Aloysio da cui ebbe sei figli: Alberto, Iris, Olga, Luigi, Italo e Lola. Mori, sempre a Celenza, a soli 57 anni il 28 marzo 1936.
Giuseppe Quinzii con la moglie Adelina De Aloysio
La famiglia dell'avvocato Giuseppe Quinzii, con la moglie, i figli ed alcuni parenti, in una foto scattata il lunedì di Pasqua del 1920.
(Foto gentilmente concesse da Oscar De Lena, nipote dell'Autore)
Con la scoperta delle opere di Giuseppe Quinzii il patrimonio culturale dell'ultimo Ottocento e del primo Novecento abruzzese si arricchisce di un contributo originale; nello stesso tempo si delinea, in prospettiva, un importante lavoro di sistemazione critica, di ricerca filologica, di analisi dei contenuti e delle forme espressive. Il Quinzii, per la verità, non è completamente sconosciuto. Intorno agli anni '20 si era fatto apprezzare da qualificate giurie per alcune composizioni dialettali, musicate quasi sempre da Giuseppe De Aloysio e divenute a buon diritto famose: L'amore pe' tre, La rennelelle, Cucù, Mar'a me! ecc. (3) Alcune composizioni sono state musicate da Osvalda Pieri, moglie del De Aloysio, con la stessa perizia tecnica e profondità di ispirazione. Inoltre si conoscevano, del Quinzii, alcune opere teatrali applaudite sulle scene di vari teatri della Regione.(4)
Una ricerca approfondita sugli scritti del periodo napoletano deve essere ancora compiuta, ma sappiamo che l'autore ha scritto su periodici locali ed Il Mattino gli pubblicava recensioni circa gli spettacoli che frequentava nei teatri napoletani.(5)
È certo, infine, che il Quinzii abbia pubblicato scritti vari su La tribuna illustrata, con sede a Roma, per iniziativa del figlio Italo.(6) Uno sforzo notevole di identificazione della personalità artistica di Giuseppe Quinzii è stato sostenuto da Elio De Aloysio attraverso le celebrazioni, in Celenza sul Trigno, dei Certami regionali di poesia dialettale. Questo sforzo, però, si è esaurito nella pubblicazione di alcuni lavori in vernacolo, pregevoli certamente ma insufficienti a determinare un approccio complessivo con la personalità dell'autore e con i contenuti della sua arte. Il Quinzii ha rischiato di rimanere confinato nello stretto ambito municipale per le difficoltà di lettura dei suoi manoscritti. Si è reso necessario un duro lavoro di trascrizione che però ha consentito l'allestimento della stampa di molte opere ed una prima esplorazione dell'itinerario artistico dell' autore che presenta aspetti di apprezzabile originalità. E comunque, indipendentemente dai giudizi che ne darà la critica più specializzata, può essere ora consentito di arricchire il paesaggio letterario abruzzese degli ultimi due lustri dell'Ottocento e dei primi quattro del Novecento. L’esperienza letteraria del Quinzii passa attraverso distinte progressioni, caratterizzate dal punto di vista cronologico, anche se molte opere non sono datate.
La lettura critica è agevolata da questa sistemazione cronologica che comunque deve fare i conti con la complessità e l'equivocità di un artista troppo compromesso con l'umanità che si muove intorno a lui, con la realtà dura di gente che trova nella rassegnazione la virtù più esercitata.
Nel periodo iniziale il Quinzii si esprime attraverso la tecnica del racconto, della novella, ma già individua i temi più congeniali: l'eroicità delle vite dimesse, delle esperienze anonime, la fondamentale presenza dell'amore a determinare gli atti individuali e le relazioni collettive, il riferimento al paesaggio fisico, fonte e criterio interpretativo del gesto umano.
Appartengono a questo periodo: Le novelle del Trigno, Fiore esotico, Ciclamina, La via del milione. Tornato a Celenza, da Napoli dove si era laureato in Giurisprudenza nel 1902, il Quinzii esercita la professione di avvocato e compone in prevalenza opere teatrali: La figlia di Jorio, L'innocente, La via della felicità, La lucciola, Il segretario, ecc...
I temi di fondo si precisano definitivamente, la tecnica si perfeziona, l'ispirazione sembra alimentarsi senza soluzione di continuità su un contesto molto adatto a sostenerla: il piccolo e coeso ambiente del paese dove certi valori e certa filosofia non sono da scoprire ma vivono incarnati. Eppure molte opere di questo periodo sono ambientate in grandi città e presentano paesaggi molto distanti da quelli familiari all'autore; il quale si è illuso, così, di evadere dal suo mondo dove certamente non è vissuto a suo agio se ha ignorato così a lungo e senza sospetti il suo racconto appassionato (7).
Vi sono lavori che rievocano, nel titolo, le più valide e fortunate opere di Gabriele D'Annunzio, ma già la prima lettura evidenzia un pretesto o forse l'intenzione di un improbabile confronto. In verità la differenza è subito netta: le creature dannunziane vivono esperienze drammatiche ed esauriscono le loro risorse nell’ appagamento esaltante; quelle del Quinzii vivono il quotidiano modesto e consapevole, quasi sempre monotono, spesso sofferto, qualche volta arguto e perfino malizioso. Ma proprio questa caratteristica avvicina il Quinzii ad altri autori che si sono cimentati con realtà meno esaltanti ma vi hanno trovato ugualmente appagamento spirituale e condivisione, creando quell' ambito di riferimento letterario che isola il D'Annunzio nella sua grandezza, togliendogli però il monopolio della rappresentazione dell'ambiente abruzzese.
A partire dal 1920 il Quinzii compone prevalentemente in versi. Il suo ciclo artistico si chiude nella sintesi poetica dell'esistente esplorato per tutta la vita e rimasto misterioso. Ma in questo momento si scopre anche la sua vocazione più genuina, che è essenzialmente lirica. Non parabola discendente, dunque, ma tensione ideale che non poteva trovare altro strumento espressivo più appropriato del canto. Non è un caso, infatti, che molte sue poesie siano state musicate, come non è un caso che quasi tutte le composizioni poetiche siano in dialetto; l'autore è tornato ad impossessarsi, per questo abbandono finale, dei suoni più familiari che meglio potevano rappresentare le vibrazioni dell' anima. Per i suoi concittadini Giuseppe Quinzii è stato un valente avvocato, un uomo arguto, un po' insofferente.
È morto a Celenza sul Trigno il 28 marzo 1936.
L’itinerario artistico di Giuseppe Quinzii inizia negli anni dell'Università. Il poeta è a Napoli a studiare legge, ma scrive poesie e compone, tra l'altro, il suo primo romanzo: Fiore esotico e la prima opera teatrale: Il figliuol prodigo. La composizione più importante di questo periodo è la Epistula poetica del 1899; l'autore ha 21 anni e sogna. Sogna un amore extraumano, direi dannunziano nella eccitazione scomposta e nell' esaltazione sensuale: ma i riferimenti dei volti e delle espressioni tradiscono la sua tendenza più vera; a parte l'ambizione di percorrere il filone poetico di moda, la sua anima è tutta piena di immagini delle ragazze del suo paese e della sua terra; l'agitarsi frenetico per improbabili passioni si ricompone, alla fine, nella visione di brune fanciulle, guance di malvarosa quasi in controluce nel paesaggio del superbo Adriatico e dell' immensa Maiella. Sembra poca cosa questa lettera poetica ed invece contiene per intero l'impianto morale che sorregge la visione della vita con il ruolo della persona mossa quasi mai da ragioni ma sempre da sentimenti e passioni. Tuttavia il romanzo di questo periodo, abbiamo detto Fiore esotico, sembra contraddire questa impostazione. L’opera è autobiografica e descrive la sofferta ricerca di chi non conosce ancora la sua strada. Le vicende si svolgono a Firenze; il protagonista è un pittore che va cercando l'idea, l'ispirazione per un suo quadro. Niente, dunque, di più lontano, anche nel pretesto narrativo, dall' esigenza di concretezza della gente di paese che lavora la terra. E invece questo romanzo è già una prima conferma. L’idea ispiratrice del giovane pittore si realizza nella scoperta di quello che ha dentro ed intorno a sé, concretizzato nella figura di Margot, in tutto e per tutto donna della sua terra, rassegnata e paziente. Il Cardio ha consumato la sua ricerca nell'inseguire l'inglesina bionda dal profilo di angelo, ma alla fine ammette: che non valeva la pena, quando si aveva in casa un angelo di quella fatta da contemplare. Assodato questo, definito il proprio mondo, l'autore racconterà per tutta la vita la storia della sua ricerca per condividere il suo mondo. Il problema è quello stesso di Quasimodo: sentirsi in armonia. Il prossimo con cui convive è inadatto a soddisfarlo e perciò il Quinzii lo abbandona in rapporti quotidiani soltanto formali. Lo star bene con se stesso è tutto nel rapporto con le creature della sua penna. Si capisce così anche la sorprendente abbondanza della sua produzione. Non chiediamoci se il Quinzii sia stato soddisfatto di questa doppia vita: probabilmente non è stata una scelta; l'intelligenza è una pena per se stessa e si porta come compagna la solitudine. Ma questa solitudine è creativa. La gente non sa, si muove con lo scrittore e non sospetta, ed è il massimo che può fare un artista come forma di rispetto verso chi non può capirlo. A questo stesso periodo giovanile e napoletano appartiene anche Il figliuol prodigo che racconta, con moderna applicazione, la parabola evangelica, ma intanto introduce un altro modello di osservazione collegato alla facilità dell' errore giovanile e al dovere dei genitori di attendere la conversione dei figli e di perdonare. Nel novembre del 1902 Giuseppe Quinzii si laurea in giurisprudenza e ritorna a Celenza sul Trigno, nell' ambiente provinciale, dove la sensibilità culturale è molto ridotta e dove eserciterà con successo la professione di avvocato.
Il processo di identificazione con il suo mondo, però, continua. L’artista chiama al protagonismo gli ambienti ed i personaggi più emblematici: il fiume Trigno con il rosso passatore, il Delfino (Le novelle del Trigno); il convento di San Donato e la vita dei frati nel vario rapporto tra di loro e con le popolazioni del territorio (Ciclamina); l'intrecciarsi delle relazioni tra paesani e di questi con i forestieri, nei luoghi di più immediato e più facile incontro: l'albergo-osteria, la "cantina, la rivendita dei tabacchi, la Chiesa (La via del milione). Con questi tre romanzi si definiscono meglio gli interessi letterari dell' autore. È facile osservare l'aggancio al verismo che allontana del tutto il Quinzii dall'atmosfera dannunziana, anche se, come vedremo, è continuo il tentativo di mantenersi ancorato ai contenuti delle opere dannunziane, fino a dare ad alcune sue opere gli stessi titoli di capolavori dannunziani: L'innocente, La figlia di Jorio, ecc.
Da qualche tempo, d'altra parte, abbiamo scoperto autori, formatisi alla stessa cultura napoletana di fine Ottocento, che insieme formano una vera e propria scuola, con caratteri di originalità.
In questa sede è solo il caso di ricordare, a titolo esemplificativo: Domenico Ciampoli (1852-1929), Edoardo Scarfoglio (1860-1917), Giuseppe Mezzanotte (1855-1935), Luigi Anelli 1860-1944), Gaetano Murolo (1858-1903), ma anche Fedele Romani (1855-1910) sebbene formatosi all'Università di Pisa e non a quella di Napoli.
L’arte del Quinzii ritorna piuttosto alle origini verghiane ed è ancora più severa e coerente di quella del Verga perché non suscita denuncia, non presuppone né sollecita necessità di cambiamenti: la vita scorre, nelle opere del Quinzii come necessità fatalistica, ma è accettata e vissuta con naturalezza, presenta momenti difficili ma anche belli. Il lettore di oggi rimane un po' sconcertato da questa monotonia dell' accettazione, ma è ricompensato dalla piacevolezza della narrazione e finisce per condividere anche lui perché, mutati i tempi, gli uomini sono ripetitivi nei comportamenti. In Ciclamina il Quinzii espone un altro tema ricorrente nelle sue opere: l'influenza determinante dell' amore nella vita. Da questo tema si sviluppa un filone abbastanza chiaro: la fondamentale debolezza della natura femminile e la conseguente comprensione dei suoi errori. All'interno di questo schema si evidenziano prototipi funzionali alla miglior evidenza dell'idea che l'autore ha della donna: la piccola e bruna Margot, luce e certezza per il suo Cardio, in contrapposizione all'inglesina dagli occhi cilestri rappresentante la tentazione e l'errore; ma soprattutto Flamina, protagonista della commedia La Lucciola, con le fiamme nel sangue, e più ancora La Rossa che anima La fabbrica e Il casolare. Gli uomini la scacceranno, infine, e il Vecchio la condannerà a vagare, mentre l'ultimo amante la rincorre, finalmente consapevole, promettendole di volerle spaccare la testa contro il muro. Da tutto questo si capisce che il Quinzii ha bisogno di delimitare il campo e nel conflitto morale tra il bene e il male ha bisogno di individuare i segni emblematici per un più immediato riconoscimento. Questa tecnica può essere segno di un mondo sostanzialmente primitivo, lontano dalla sensibilità moderna; o forse un tentativo per farsi capire, quasi una necessità di coerenza rispetto all' ambiente in cui vive.
Nella piena maturità il Quinzii si dedica quasi esclusivamente al teatro. Tra il 1905 ed il 1922 compone La figlia di Jorio, L'innocente, La via della felicità, Il segretario, insomma tutte le sue opere migliori. Non può sfuggire l'intenzione dell'autore di rapportarsi ad alcune opere del D'Annunzio, quasi a proporre un confronto a distanza, In effetti questa intenzione è già scoperta nelle Novelle del Trigno, che richiamano le più famose Novelle della Pescara. Questa curiosa situazione rappresenta soltanto l'espediente per proporre una propria personale valutazione dei temi trattati dal D'Annunzio. Alcune opere sono state anche rappresentate con successo; il Quinzii amava verificare sulla scena la validità del racconto; a Celenza sul Trigno aveva creato, nel piano terra della sua abitazione, il teatro filodrammatico. A margine di questa produzione vi sono opere che sembrano, per così dire, fuori testo: Avemaria, Marine esperidi, Il rosaio rosso.
La prima è del 1910 e riguarda la spedizione dei Mille (è stata scritta per celebrarne il cinquantenario); la seconda opera si riferisce alla guerra di Libia ed è del 1912;8 la terza è del 1915 e narra un episodio della prima guerra mondiale. Non si tratta di fughe, i protagonisti sono familiari, come sempre, solo che agiscono in ambienti inconsueti dove pure rivelano le stesse caratteristiche umane e morali. Accanto alle opere di narrativa e di teatro esiste una notevole produzione poetica del Quinzii, la quale non costituisce l'aspetto prevalente della sua complessa personalità. Tuttavia il Quinzii è conosciuto soprattutto per le sue poesie, ed in particolare per quelle dialettali. Le composizioni dialettali rappresentano i momenti della più viva ed originale ispirazione ed esprimono una forte coerenza di temi e di tecniche espressive.
Ma esiste anche una, peraltro limitata, produzione poetica in lingua, che merita di essere conosciuta e valutata. Alcune poesie sono state ricostruite a memoria, così come erano state apprese dagli improvvisati attori di recite e rappresentazioni. Non è detto, inoltre, che non si possano ancora rinvenire altre poesie di questo autore; dobbiamo tener presente che questa pubblicazione rappresenta il primo approccio al mondo artistico e culturale del Quinzii, attraverso i suoi manoscritti. Stando, comunque, al materiale a disposizione, si può innanzitutto evidenziare una grande facilità e spontaneità di versificazione.(9)
Esiste anche, pur nella scarsità ed episodicità delle composizioni, un nucleo centrale di interesse, che corrisponde ad un tema lirico: l'amore. Il clima della epistula si ritrova anche in Sogno di una notte d'estate, lirica anch' essa giovanile, composta in un non meglio precisato plenilunio di luglio. Il tema è sempre l'amore ed è sviluppato con maggior realismo oltre che con una tecnica più matura. Ma questo stato d'animo dura poco: l'atteggiamento del Quinzii diventa sempre più scettico, passando attraverso l'ironia (Un raid nei Dardanelli) ed il sarcasmo (Alla signorina Sacripante), per tornare, infine, al sogno iniziale, ricomposto in una esperienza complessiva dolorosamente disincantata, ma tanto più dolce e persuasiva: è questo il momento di Anima assente. Le poesie composte successivamente sono segnate da una certa sufficienza, solo in parte temperata dalla genialità dell' autore. Si evidenziano progressivamente i segni della maturità stilistica e dell'ispirazione: il Quinzii padroneggia bene il vocabolario e la metrica, la sua vena scorre limpida e geniale. Un raid nei Dardanelli è la lirica emblematica di questo nuovo clima ideale e morale, il tema e ancora e sempre amore. Discorso a parte meritano le poesie in dialetto. Molte di esse sono nate per essere musicate, quasi parole per una canzone; altre sono diventate famose e ricorrono ancora nelle arie paesane di tutto l'Abruzzo. Di altre ancora sono rimaste le melodie e, più spesso, i ritornelli: segno che anche al musicista, Giuseppe De Aloysio, sarebbe ora di dedicare attenzione. Osvalda Pieri, eccellente pianista e compositrice, ha legato il suo nome ad alcune fortunate canzoni ma appare più defilata rispetto al marito De Aloysio con il quale ha condiviso la passione per la musica. Questa donna ha avuto la ventura di essere ispiratrice di alcune opere di più forte originalità, come il lettore potrà facilmente scoprire.
Note
l In questa città ha compiuto gli studi ginnasiali e liceali, ospite del Convitto Nazionale "G.B. Vico", dal 1893 al 1898;
2 A Napoli ha frequentato l'Università, addottorandosi in Giurisprudenza il 25 luglio 1902 ed ha scritto, tra 1'altro, "Fiore esotico", "Javert", "Il figliuol prodigo".
3 Le prime tre composizioni sono state premiate al Festival della canzone abruzzese di Lanciano, nel 1922; la terza è stata premiata al secondo Concorso regionale "la settimana abruzzese di Pescara, nel 1923;
4 I migliori lavori del Quinzii sono stati rappresentati a Lanciano ("Benedetta Benedetta', "Il Segretario" ed altre; ma anche a Celenza ''L innocente" il 22 agosto 1920).
5 Per migliore conoscenza dell'influenza della cultura napoletana su quella abruzzese di fine Ottocento e sulla questione più generale della "cultura regionale", si veda: Gianni Oliva, Le frontiere invisibili, Bulzoni editore, Roma, 1982;
6 Italo Quinzii trasmette in questi termini il bozzetto "La fuga” Sp.le Direzione, prego voler pubblicare, senza compenso da parte dell'autore, nella pagina della novella sulla Tribuna illustrata, il bozzetto originalissimo di mio padre. Sicuro di essere accontentato ed in attesa distinti saluti. Il vostro corrispondente da Celenza sul Trigno (pr. di Chieti). Quinzii ltalo n.49;
7 Per dare un'idea della varietà degli ambienti bastino queste esemplificazioni: "Avemmaria" per il cinquantenario della spedizione garibaldina in Sicilia, è ambientata tra Reggio Calabria e Napoli, "Il segretario" si svolge in una casa agiata di industriali, il romanzo "Marine esperidi" in una ridotta militare di Libia.
8 Il pretesto narrativo è costituito dal fatto che un fratello dell' autore, a nome Quintino, in quel periodo era ufficiale dell' esercito nella campagna di Libia.
9 G. Quinzi era il personaggio che improvvisava versi, filastrocche e stornellate, nelle occasioni più disparate, nei ritrovi pubblici, nei conviviali, nelle occasioni memorabili; la sua rima era sempre originale, spesso ironica e pungente.
Estratto dal libro: “Giuseppe Quinzii : Poesie “ a cura di Domenicangelo Litterio presentato a Vasto, Piazza Barbacani il 5 agosto 2006